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Charles Baudelaire e Rafał Wojaczek
Due poeti maledetti a confronto
POESIA INTERNAZIONALE
Mauro Tucciarelli
2/13/202510 min leggere


Nel novembre 2024, l’editore Delufa Press ha pubblicato Il poeta andava fucilato – Poesie scelte 1964-1971, prima raccolta italiana dedicata all’opera di Rafał Wojaczek, una delle voci più intense e maledette della poesia polacca del XX secolo. Tradotto finemente da Francesco De Luca e Bożena Topolska, il volume offre finalmente al lettore italiano l’opportunità di immergersi nella poetica di un autore controverso, segnato da una vita breve e tormentata, ma capace di lasciare un’impronta indelebile nella letteratura del suo paese. Considerato un simbolo dell’estremo, Wojaczek ha trasformato il dolore, l’angoscia e l’ossessione per la morte in versi di straordinaria potenza. La sua poesia, visionaria e corporea, fonde lirismo ed esperienza vissuta con un linguaggio crudo e suggestivo. Con questa pubblicazione, il panorama letterario italiano si arricchisce di un autore che, pur essendo spesso accostato ai poeti maledetti francesi, ha saputo creare un immaginario unico, sospeso tra ribellione e autodistruzione. In questo articolo analizzeremo in comparazione questo autore, con quello che è considerato l’autore maledetto per eccellenza Charles Baudelaire. Iniziamo questa disamina con qualche cenno delle loro brevi ma intense vite.


Charles Baudelaire (Parigi, 9 aprile 1821 - Parigi, 31 agosto 1867) è uno dei poeti più importanti del XIX secolo e una delle figure centrali nel movimento simbolista. La sua vita, segnata da un'infanzia turbolenta e un'adolescenza ribelle, si sviluppa sotto il segno dello spleen, una condizione di malessere esistenziale che permea tutta la sua produzione poetica. Baudelaire è spesso considerato un poeta maledetto, un titolo che non solo rimanda alla sua morte prematura, ma anche al suo isolamento sociale e alla sua opposizione alle convenzioni borghesi. La sua poesia affronta tematiche come la decadenza, la bellezza, la morte, l'inferno e la lotta interiore, con una visione quasi estetica del dolore e della disperazione. L'autore vive in un contesto storico di transizione, tra la fine della monarchia e l'inizio della Terza Repubblica Francese, e attraversa la Parigi della modernità, dove la città si trasforma in un simbolo di alienazione e di conflitto interiore.


Rafał Wojaczek (Mikołów, 6 dicembre 1945 - Breslavia, 11 maggio 1971), poeta polacco della seconda metà del Novecento, appartiene a una generazione segnata dalla guerra, dalla repressione politica e dalla disillusione post-bellica. La sua breve vita è costellata da eventi drammatici, tra cui la sua lotta contro l'alcolismo e la morte prematura all'età di 24 anni. Wojaczek vive in un contesto storico complesso, dove la Polonia è dominata dal regime comunista sovietico, e la sua poesia riflette il disincanto di un'intera generazione. Come Baudelaire, Wojaczek è un poeta maledetto, ma il suo malessere esistenziale è contaminato da una visione politica e sociale più concreta, segnata dalla miseria materiale e spirituale della vita quotidiana. La sua poesia è densa, cruda e diretta, in contrasto con il simbolismo raffinato di Baudelaire, ma entrambi i poeti condividono una visione oscura dell'esistenza e una profonda riflessione sulla morte e sul destino del poeta. Di seguito faremo una comparazione poetica tra i due, analizzando significati, stile e figure retoriche.
Le prime poesie in confronto sono: Spleen di Baudelaire vs. La ballata dell’angoscia di Wojaczek
Spleen
Quando il cielo basso e greve pesa come un coperchio
sull'anima gemente in preda a lunghi affanni,
e riversando un giorno nero più triste della notte
abbraccia la terra in un cerchio funesto;
quando la terra si trasforma in una cella umida,
dove la Speranza, come un pipistrello,
se ne va sbattendo le pareti con un’ala timida
e urtando la testa ai soffitti marci;
quando la pioggia distende le sue immense strisce
d’una prigione vasta imitazione,
e un popolo muto di ragni infami
tende le sue reti in fondo ai nostri cervelli,
a un tratto le campane esplodono con furia
e lanciano verso il cielo un urlo spaventoso,
simili a spiriti erranti e senza patria
che si mettono a gemere ostinatamente.
E lunghi funerali, senza tamburi né musica,
sfilano lentamente nella mia anima;
la Speranza, vinta, piange, e l’Angoscia atroce,
pianta sul mio cranio chinato il suo vessillo nero.
La ballata dell’angoscia
Ci si avvicina
l'angoscia: ha un volto
di neve verde come fosforo oppure osso
di un albero tarlato.
Ci mette in bocca
la mano ed ecco
la mangiamo succhiando come dal ghiacciolo
il succo dritto al cuore.
Ci offre il suo da bere
sangue e il midollo
del cervello da mangiare finché il fondo del cranio
gratta i denti.
Sappiamo che è
sangue, che non
approva le nostre vene, per farle
respirare a piacere.
Sappiamo che
il midollo è come sangue
velenoso: dopodiché le nostre viscere ad alta voce
gemeranno: tradimento!
Ma l'angoscia, come il dolore
non essere più
non può: senza di essa noi non siamo, e lei
senza di noi non spaventa.
La poesia Spleen di Baudelaire è una delle sue composizioni più emblematiche, dove il poeta esprime un profondo malessere esistenziale. Lo spleen, termine che richiama una forma di tristezza e noia, diventa simbolo di una condizione mentale e fisica che non trova via di uscita. Baudelaire utilizza il verso lungo per enfatizzare il ritmo monotono e opprimente della sua angoscia. La poesia è ricca di figure retoriche come l'anafora (data dalla ripetizione di parole all’inizio dei versi, ad esempio “quando”) e la metafora: il cielo grigio, l'assenza di colore, la sofferenza mentale sono tutte rappresentazioni di un mondo decaduto.
Tematiche comuni: l'angoscia come condizione esistenziale
Entrambi i poeti descrivono l’angoscia non come un'emozione passeggera, ma come uno stato permanente dell’essere.
In Spleen, Baudelaire rappresenta l’angoscia attraverso immagini oppressive e soffocanti: il cielo basso che pesa come un coperchio, la pioggia che cade come sbarre di una prigione, il suono lacerante delle campane. L'angoscia è una condizione di prigionia e soffocamento da cui non si può evadere.
In La ballata dell’angoscia, Wojaczek la personifica: l’angoscia è un'entità concreta che si avvicina, mette la mano in bocca al poeta, lo nutre di sangue e midollo. A differenza di Baudelaire, Wojaczek rende l’angoscia una forza attiva che interagisce direttamente con il corpo del poeta, trasformando il dolore in un'esperienza sensoriale e fisica.
La relazione tra il poeta e l’angoscia
Baudelaire la subisce: il suo spleen è ineluttabile, lo opprime dall’alto e lo costringe a una condizione di passività e disperazione. Wojaczek invece ha un rapporto più ambiguo: l’angoscia lo invade, lo nutre e lo consuma, ma al tempo stesso è necessaria. Senza di essa, egli non potrebbe esistere. L’angoscia è quindi una condizione inevitabile, ma anche una dipendenza.
Metafore e simboli
Baudelaire usa immagini cosmiche e ambientali per rendere l’angoscia un fenomeno universale e onnipresente. Il cielo che pesa come un coperchio è una metafora dell’oppressione mentale; la pioggia che cade come sbarre di una prigione simboleggia la condizione di reclusione esistenziale. Wojaczek invece ricorre a metafore corporali e organiche. L’angoscia è una presenza fisica in azione, questa concretezza rende il dolore più immediato e brutale.
Personificazione
Baudelaire non dà all’angoscia un volto umano, ma la rende un’entità astratta che permea tutto l’ambiente. Wojaczek invece la trasforma in un essere vivente che agisce, si avvicina, offre da bere e da mangiare. Questo crea un senso di orrore più diretto, come se l’angoscia fosse un parassita che ci divora dall’interno.
Struttura e metrica e ritmica
Baudelaire - Spleen: struttura regolare: 5 quartine di versi alessandrini (12 sillabe). La struttura della poesia e il suo contenuto tematico si articolano in maniera tale da creare un ritmo, un movimento particolare: lento e pesante all'inizio (1, 2 e 3 quartina), poi improvvisamente forte (4 quartina), infine lentissimo (5 quartina), tanto da ricordare uno schema di sonorità secondo l'alternanza piano-fortissimo-pianissimo. C'è un forte senso di costrizione nella poesia: tutto porta a mettere l'accento sull'idea della disperazione dovuta all'incapacità di liberarsi, di respirare. Il poeta esprime così il dramma del proprio tedio, del malessere che gli impedisce di elevarsi, di toccare il lato divino della propria esistenza.


Wojaczek - La ballata dell’angoscia: struttura più libera: versi brevi e irregolari, che danno un ritmo frammentato e spezzato, questa struttura può essere paragonata metaforicamente a un respiro affannoso o a una crisi d'ansia. Assenza di rime: crea un senso di disorientamento e instabilità, rafforzando la sensazione di disagio.
In conclusione di questa prima comparazione, Baudelaire e Wojaczek affrontano l’angoscia con stili diversi, ma con risultati simili: un senso di oppressione ineluttabile. Baudelaire usa una struttura classica e simboli cosmici per rendere l’angoscia un destino universale e immutabile. Wojaczek, con il suo linguaggio diretto e corporeo, trasforma l’angoscia in un’esperienza intima e viscerale. Se lo Spleen è una prigione mentale che schiaccia il poeta, La ballata dell’angoscia è un mostro interiore che lo divora. Due visioni complementari di uno stesso baratro.
La morte degli artisti di Baudelaire vs. Poema di Wojaczek
La Morte degli artisti
Quante, ma quante volte dovrò scuotere
i miei sonagli, e la tua fronte bassa,
caricatura triste e malinconica,
dovrò baciare? Per colpire il segno,
di mistica natura, o mio turcasso,
quanti mai giavellotti dovrò perdere?
Nelle trame ingegnose la nostra anima
logoreremo e più d’un’armatura
pesante noi consumeremo prima
di contemplare la Creatura immensa
della quale ci colma di singhiozzi
un infernale desiderio. Esiste
chi il suo idolo mai conobbe, e a questi
scultori condannati, dallo scorno
marchiati, i quali vanno martellandosi
la fronte e il petto, solo una speranza
rimane, strano e cupo Campidoglio:
che la Morte, sospesa in alto come
un nuovo sole si solleva, faccia
sbocciare i fiori del loro cervello.
Poema (vedo e descrivo... Mickiewicz)
La sentenza su di me è stata già emessa.
Negli schedari degli uccelli un pilone tarlato d'aria
brilla di viola come un'arteria. O santa madre,
o regina col segno purpureo e la corona di occhi
sgranati; o santa madre, sul trono Tuo solo un'ombra
siede.
Non sapevo, o regina, quando i tuoi diamanti come
unghie dorate scavavano nel vuoto come una breve
linea di vita una striscia livida, meta del nostro
tempo; quando gli uccelli grassi sembravano sazi
delle nostre risate viscose.
O principessa, immagina il fulmine, i Tuoi seni sono
la Tua velleità; scopri il ventre e le cosce. La loro
impronta d'argilla il ciarlatano appenderà sul suo letto
oscuro, ha già intagliato la cornice, l'ha scolpita
magnificamente. Svelta immagina il fulmine.
Ho guardato dal buco. Si accoppiava la stupida
Con il suo pensiero sottile. O madre, o santa vergine,
Blasfemo è di vita sospettare un cadavere,
Ma il cadavere ancora amava la vita, o madre, o santa vergine.

