Contrappunti urbani

Intervista a Francesco Bruno, il jazzista militante

MUSICA

Iago

1/22/20245 min read

La prima domanda scende per gravità, ci parli del tuo ultimo lavoro?

Zàkynthos nasce dal desiderio di realizzare un progetto in una dimensione minimalista, quella del trio acustico di jazz, lavorando sulle infinite possibilità espressive del mio strumento, la chitarra, coadiuvata in questo lavoro dal contrabbasso di Andrea Colella e la batteria di Marco Rovinelli, due eccellenti musicisti. Il trio per un chitarrista è un momento importante, una sorta di sfida, un modo per mettersi a nudo e provare a raccontare senza il supporto di altri strumenti armonici il brano che hai composto, usando il contrappunto e molto altro. Ho composto otto brani ai quali ho voluto dare metaforicamente dei nomi di venti, perché Il linguaggio del jazz è per me il più forte dei venti che conosco, capace con la sua forza di attraversare le culture di tutto il mondo, spazzando via ogni dogma o pregiudizio, rimanendo vivo e rinnovandosi da sempre proprio grazie a questa libertà espressiva che amo profondamente e che ha sempre ispirato i miei progetti.

Il jazz per la musica è un po’ come la poesia per la letteratura, pensi esista una maniera per migliorarne la diffusione?

Le nuove generazioni sono molto distanti dal jazz in quanto percepito come qualcosa di vecchio e di difficile fruizione, questo è dovuto a molteplici fattori, da una parte il bombardamento mediatico che li spinge in generale a considerare inutile qualsiasi tipo di approfondimento culturale, mostrando loro il successo ricevuto da personaggi sotto-acculturati, da un altro lato l’incapacità da parte di molti jazzisti di andare oltre l’emulazione dei grandi del passato o la sperimentazione fine a se stessa. Dovremmo tutti cercare di superare queste difficili barriere. Oggi ascolto molti grandi giovani performers ma è sempre più difficile per me trovare qualche progetto musicale affascinante quali quelli del passato, questo è un grande problema dal mio punto di vista.

Recrimini qualcosa delle scelte artistiche fatte in passato?

Ho sempre cercato di privilegiare progetti di qualità e se guardo al passato, posso dirti che sebbene siano state scelte non sempre facili, nel tempo hanno premiato. Ho vissuto tante esperienze non solo nell’ambito della musica jazz, ma anche in un contesto differente, quello della canzone, nel quale non solo mi sono ritrovato ad essere autore di successo, ma ho avuto anche l’opportunità di comprendere alcuni elementi fondamentali nell’ambito della composizione e dell’arrangiamento per comunicare con l’ascoltatore, un bagaglio ancor oggi prezioso, approcciando a progetti più complessi ed articolati come quelli del jazz. Sin dagli anni 70 ho fatto centinaia di concerti, prima come sideman di altri artisti, poi come leader di mie formazioni, sono tantissimi i ricordi delle esperienze vissute, potrei veramente raccontarle in un libro, ma credo che forse non lo farò mai perché la mia filosofia è di guardare sempre al futuro, a tutto ciò che ancora posso imparare, creare, sognare, partendo certamente dalle esperienze vissute.

L’iperconnessione attuale e il conseguente strapotere dell’immagine come ha influito sul ruolo dell’artista?

Ho sempre guardato al progresso tecnologico come un’opportunità e per alcuni aspetti credo che in effetti sia una possibilità per un artista di comunicare e di accrescere il livello di conoscenza in tempi più brevi. Il risvolto negativo sta però nell'utilizzo che se ne fa oggi. Il punto è che esiste uno scollamento tra la vita reale e quella virtuale, basti pensare alla realtà dei cosiddetti “follower” sui social, migliaia di numeri, di apprezzamenti espressi con emoticon spesso non hanno alcuna corrispondenza con il desiderio reale da parte di qualcuno di uscire di casa e andare vedere uno spettacolo, per conoscere realmente un artista. È questo a mio avviso l'aspetto più inquietante di tutto il sistema attuale, che induce ad avere la sensazione di vivere qualcosa che in realtà si osserva solo passivamente davanti ad uno schermo.

Che consigli daresti ai giovani musicisti di oggi?

La musica deve essere espressione libera della nostra anima, ma passando attraverso un linguaggio, credo che questo debba essere sempre comprensibile. I livelli di percezione di chi ascolta sono ovviamente differenti e rapportati al grado di conoscenza specifica, ma un presupposto fondamentale, da sempre, è la comunicativa con il pubblico che ascolta, oggi il livello di preparazione tecnica delle nuove generazioni è molto alto, ma spesso un giovane musicista è indotto a pensare che la scrittura complessa di un’opera sia sinonimo di qualità. Non è sempre così. La complessità e la mancanza di intelligibilità nascondono spesso una reale carenza dal punto di vista compositivo e di ispirazione, elemento fondamentale. Una bella poesia deve poterti commuovere anche con poche e semplici parole, tu sai bene che non è così facile riuscirci come qualcuno può pensare.

Su Chimera gli intervistati hanno campo libero. Vuoi toglierti, se ne hai, qualche sassolino dalle scarpe?

Dopo tanti anni di lavoro, sassolini e macigni non si sentono più, ci si convive, preferisco piuttosto pensare alle tante persone belle conosciute nel tempo tra artisti e operatori che hanno fatto e continuano ogni giorno tra mille difficoltà a fare del bene all’arte e che saranno sempre ricordati da tutti. Per tutti gli altri, i mediocri di turno di ogni stagione e di ogni genere incontrati nel cammino, ho imparato a rimuoverli dai miei pensieri il prima possibile.

Francesco Bruno come vede la società in cui vive?

Vedo una società agonizzante, perché sempre più distante dal porre l’essere umano dal centro delle scelte da affrontare. L’utilizzo sconsiderato del progresso tecnologico ha dato a noi tutti l’illusione di vivere in una grande comunità allargata, ma in effetti stiamo vivendo sempre di più l’era della solitudine. Credo che un segnale si possa dare ripartendo dal basso, recuperando il desiderio di ritrovarsi, di uscire da questa dimensione virtuale nella quale siamo tutti proiettati in maniera compulsiva quotidianamente, cercando di abbandonare questa spinta all’ egocentrismo, all’ostentazione a tutti i costi, a discapito dei contenuti. Tutto questo investe in maniera diretta anche l’arte, svilita da questo circo mediatico che premia il tecnicismo fine a sé stesso invece di apprezzare e incentivare la sana ricerca. Bisogna però andare avanti, nonostante la stagione, cercando di lasciare segnali positivi che possono forse essere seguiti. Ringrazio di cuore te e Chimera per questa intervista augurando a tutti un 2024 ricco di arte!

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Iago (1968), nome d’acqua Roberto Sannino. Poeta, performer e autore di testi di canzoni. Ha pubblicato numerose opere, tra le più rappresentative ricordiamo Delirium Tremens (2010),L’alibi perfetto (2011),Concerto per carta e inchiostro (2012),La famiglia dello scalzo (2014),Anche le scimmie odiano tarzan (2016) eMultiverso (2018). Ospitato in fiere e festival letterari e in rassegne culturali dove ha messo in atto prestazioni di scrittura poetica dal vivo. Ha tenuto incontri con scuole medie e superiori, volti a educare gli alunni alla stimolazione sensoriale nel processo della scrittura. L’ultimo lavoro in versi Dalla pietra allo specchio (2020) ha ottenuto il premio speciale della critica al GIOVANE HOLDEN di Torino.