Il ragazzo divenuto leggenda (1964-2024)

I primi 60 anni di Haizi, eterno enfant prodige della Poesia

POESIA INTERNAZIONALE

Francesco De Luca

3/25/20246 min read

25 Marzo 2024. Villaggio di Zhawan, Anhui.

Nell'oscurità della campagna dello Anhui la casa di Haizi si veste di lontananze e brilla attirando anime da tutta la Cina e dal mondo.

C'è chi viene a piedi, chi in bicicletta, chi in aereo, chi dal Tibet guidando una moto sgangherata per tredici giorni e solo per intonare sulla sua lapide qualche nota portata via dal vento.

Zha Haisheng, conosciuto da tutti col suo nome di penna, nasce il 24 Marzo 1964 da una famiglia di contadini, primo di quattro fratelli maschi. 

Zhawan è un villaggio di poche case, a pochi chilometri dalla cittadina di Anqing, non lontanissimo da Hefei, il capoluogo della provincia dello Anhui, nella Cina centro-orientale.

Qui gli inverni sono rigidi. Piove, nevica e l'umidità arriva fin dentro alle ossa. Specialmente per una famiglia povera, senza vetri alle finestre. Con pochi vestiti. Poco mangiare. Poche speranze di cambiamento. 

Siamo nel pieno della rivoluzione culturale e le condizioni dei contadini cinesi fa accapponare la pelle. Ma se da un lato la povertà e la difficoltà del vivere investono il suo animo gentile, dall'altro, cresce nella natura, tra i fiori, gli acquitrini e il grano.

Immaginiamo una società fatta di poche cose, così come nell'Italia di un tempo perlopiù perduto e, purtroppo, dimenticato. Pochi i colori, poche le stoffe, poco il riso.

Ma il giovane Haizi subito svela la sua propensione per la lingua cinese, per lo studio, per i libri. Duranti alcune feste, del villaggio soprende gli adulti per il suo linguaggio inconsueto per un bambino di pochi anni. Cita versi. Enfrant prodige a soli quindici anni supera l'esame di ammissione dell'università di Pechino, dove si iscrive alla facoltà di legge. Qui conoscerà Xi Chuan e Luo Yihe, divenendo ben presto inseparabili amici che condividono una comune passione per la poesia. Più tardi verranno chiamati i tre poeti della Beida.

Diviene professore di estetica nella medesima università, viaggia in Tibet, in Qinghai. Percorre sentieri invisibili dello spirito e scrive. Scrive migliaia di versi. In soli sei anni.

La sera del 25 Marzo 1989, lucidamente, all'apice dell'ispirazione poetica, dopo aver catalizzato versi che diventeranno immortali: sistema la sua camera, ripone gli oggetti in ordine, qualcosa in valigia, altri oggetti sugli scaffali ed esce di casa.

Arriva a Shanhaiguan, una località a poche ore da Pechino. Un luogo simbolico, per molti, perché lì inizia, o finisce, la Grande Muraglia. Uno dei emblemi della cultura e del popolo cinesi.

Si stende sulle rotaie della stazione locale, si posiziona a mo' di croce e si lascia travolgere da un treno. Nel suo zaino aveva quattro libri: la bibbia, Conrad, Walden e Kon Tiki dell'antropologo norvegese Heyerdhal.

Aveva lasciato un biglietto con su scritto quanto segue: "La mia morte non ha a che vedere con nessuno" (我的死与任何人无关). Null'altro.

Per molti non era che un altro giovane folle che si toglie la vita? Che non sa affrontare le proprie delusioni d'amore o le difficoltà del vivere?

Haizi era tutt'altro. Haizi aveva deciso di lasciare la sua corporeità per trasformarsi in qualcosa di più. Aveva lanciato un segnale universale, universale come universale è la sua poesia, affinché noi tutti potessimo ascoltare, prestare attenzione e, magari, prendere un altro indirizzo. 

Haizi è un martire della Poesia. Qualcuno che aveva raggiunto la forma più diamantina del pensiero e della percezione attraverso la solidificazione sonora e scrittoria dello spirito dell'uomo e sentiva, probabilmente, la necessità di sacrificarsi affinché la magia scaturita dai suoi versi potesse compiersi. 

"Parlare di poesia cinese o meglio , dell'arte di scrivere poesia cinese antica, impone un approccio non filologico, ma intuitivo e poetico. Il problema della poesia cinese nasce in primo luogo dalla sua stessa forma espressiva, l'ideogramma: esso rappresenta una sorta di solidificazione "in forma" del pensiero astratto, del concetto [...] L'ideogramma cinese può essere inteso come una "nebbia" che sta a metà tra il pensiero che la elabora nella mente del poeta, e l'atto fisico di materializzazione su carta tramite il pennello e l'inchiostro" (E. Fenollosa, L'ideogramma cinese come mezzo di poesia, Luni Editrice, Milano 2014).

La magia della poesia. La magia del verbo. La magia della parola. Sta tutta qui.

La sua morte è un atto cristico. Sciamanico. Haizi sapeva e voleva curare l'umanità attraverso il suo sangue. Puro, non dannato, ma lindo e cristallino. Col sangue puro di un poeta infante, martire e salvatore.

Chi può allora chiamarsi Poeta se non colui che regala la propria vita per gli altri, per e attraverso la Poesia? Che valore hanno i suoi versi e cosa aveva raggiunto nelle profondità del suo scavo? Quali mostri e quali dèi aveva incontrato? Quali combattuto?

"Tutti vogliono estinguere il fuoco/io da solo lo innalzerò" (万人都要将火熄灭/我一人独将此火高高举起)

Haizi aveva compreso la propria impossibilità di essere testimone di un'epoca che stava distruggendo tutto ciò che ci potesse (e possa) essere di più prezioso e necessario: la sacralità del vivere poetico, la sacralità del intento del poeta che salva.

Così com'era un tempo, e come oggi, così presi dal multimedialismo capitalistico del pornismo consumistico, lo abbiamo dimenticato.  Un po' come Witkacy, Wojaczek, Quyuan, Morselli, Gu Cheng, Morrison, Kobain e tanti tanti altre anime belle incapaci di vivere in un mondo che non funziona, che non ascolta, e sempre più veloce, sempre più veloce, verso una fine non ineluttabile ma chiara innanzi, se non cambiamo immediatamente direzione. Lo faremo?

Non rimaneva che il gesto ultimo e primo. Così come Cristo che non scappò dal Getsemani, Haizi non è scappato innanzi alla sua visione di morte, o di vita eterna. 

Fatto sta che la sua casa brilla di amore e ogni angolo, anche il più oscuro, divampa come un roveto in fiamme.

Quest'anno Haizi avrebbe compiuto 60 anni. In questi 35 anni dalla sua morte avrebbe potuto vivere, godere e gioire, amare e, forse, continuare a scrivere. 

Ma la sua poesia raggiungerà vette sempre più alte, e sempre più giovani troveranno in lui il conforto di un amico puro e sincero, pronto al gesto estremo pur di difendere la giustizia e la libertà.

"Pietre, pietre, pietre vendute per comprare pietre/ pietre vendute da cambiare in pietre/ pietre vendute per altre pietre/ le pietre son sempre pietre, l'uomo è sempre uomo. (石头,石头,卖了石头买石头/ 卖了石头换来石头/ 卖了石头还有石头/ 石头还是石头,人类还是人类)

In un certo senso Haizi, sentendo il peso del prezzo che stavamo e stiamo pagando, ha rifiutato in toto la modernità, e come dice Lu Xun: "ho rinunciato a tutto ciò che prima credevo e sostenevo. Davvero ho ceduto, ma ho vinto" (Lu Xun, La vera storia di Ah Q e altri racconti, Feltrinelli, Milano 1955).

Entrato sin dalla nascita nella profonda ferita della povertà del vivere che non vogliamo vedere, sapere, conoscere, riconoscere, ascoltare o ricordare, cantava la vita semplice e l'amore in maniera epica. Voleva assaggiare il più profondo senso della vita, oltre il tempo e lo spazio e la vita stessa. Se ci immergiamo nelle atmosfere haiziniane ci ritroviamo in una dimensione di sogno, in un mondo bucolico splendente, fatto di ovattate e vivide costellazioni poetiche. Un'atmosfera psichica elettrostatica.

Haizi manifesta una profonda componente cattolica e una dualità di matrice taoistica. In lui il buio e la luce, il bianco e il nero, la rigidità e la flessibilità, la vita e la morte si alternano in eterna compenetrazione, in un equilibrio sopra e dentro le energie del cosmo.

Energie del cosmo che lo hanno risucchiato, che ce lo hanno portato via perché non ce lo siamo meritato. Troppo distratti dai nostri giochi di potere individuali e collettivi, nazionali e sovranazionali, di economia e o di sviluppo. 

E mentre la nipote di Haizi mangia con le bacchette il suo riso con il pesce di fiume, o assapora il cioccolato portato in aereo da Roma "Buonooo! Ma è duro!", Haizi è lì e ci osserva sorridendo e porgendoci la mano. 

Il treno è passato. In un attimo, è passato. Ora ci aspetta. Ci aspetta nell'eternità.

"La felicità a me raccontata dal fulmine / io la dirò a ogni uomo" (那幸福的闪电告诉我的 / 我将告诉每一个人)

Ci vediamo domani,e saremo felici.

In attesa della prossima raccolta di Haizi, in uscita a fine anno per Delufa Press, ecco di seguito Un Uomo Felice, uscito nel 2020 per Del Vecchio Editore. 

Haizi, Un Uomo Felice, Del Vecchio Editore, 2020Haizi, Un Uomo Felice, Del Vecchio Editore, 2020

Francesco De Luca (1979), poeta, scrittore, traduttore ed editore romano. Mediatore di Lingua e Cultura Cinese. Si laurea in Comunicazione presso la Sapienza di Roma, nel 2004. Ha pubblicato Anomalie (2015), Karma Hostel (2019) ed è presente nell'antologia Roman Poetry Festival (2019); ha tradotto Un Uomo Felice, poesie scelte di Haizi (2020), Io e l'Italia, di Liu Xi (2022), Poesia Celeste, di Hei Wen (2023), Lo Scenario Invisibile. Mente, Allucinogeni e I Ching, di Terence e Dennis McKenna (2024).