Il ruggito di dio
la classe di Opalski e le poesie di Chludziński
POESIA INTERNAZIONALE
Francesco De Luca
2/13/20245 min read
![Józef "Żuk" Opalski](https://assets.zyrosite.com/cdn-cgi/image/format=auto,w=747,h=316,fit=crop/AzGj2qr3VVTM5GGk/opalski-Aq2NNg9rpZhNVMv0.jpg)
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Quando la notte dell'anima incombe, quando il caos delle strade, il rumore metallico dei cervelli della gente si disperde sotto gli antichi architravi di ciò che attirava i grandi a vagare per le strade di Roma, di Napoli, della Sicilia d'Italia, quando l'elettricità che unisce la vita si indebolisce senza attrarre o calciare la materia, non rimane che andare. Perché l'energia non si distrugge. Si trasforma. Allora preferisco guardare il volo degli uccelli. Seguire le intenzioni e i segni della natura tra cemento e croci.
Così, appaio spostato, spossato e decentrato, sorpreso e seduto sul divano del teatro KTO di Cracovia. Sfilano costumi, merletti e maschere di scena di anime scintillanti: gli attori di uno spettacolo di "Żuk" Opalski. Un veterano del sipario nel sipario dell'umanità. Uno spettacolo che, oggi, a Roma, non si vede. Che non ha scene. Né occhi e cuori a incontrarlo.
L'uomo non può sostenere lo sguardo di Dio!
Lo spettacolo, intitolato Uczycie nas, jak suknie się podnosi (Insegnateci come si alzano gli abiti) è dominato dai testi di Bertolt Brecht, Roger Fernay e Walter Mehring con musiche di Bertolt Brecht, Hanns Eisler e Kurt Weill. E come la migliore arte polacca, ha troppa anima.
Opalski è cattivo. Cattivo perché sa, e ama. E quando si ama, quando si ama come amano i grandi, non si può non far male. Ma è ciò di cui ha bisogno il pubblico. Pubblico. Che parola sgradevole. Una parola unta. È ciò di cui hanno bisogno le persone. Di ciò di cui hanno bisogno le carcasse di ciò che ne rimane, schiacciate tra coca cole e immagini di razzi in cielo.
Lo schiaffo d'amore dell'artista ferisce per salvare tutti, tranne se stesso.
Si sa, viviamo in un mondo specializzato in guerre. Guerre sante. Guerre di prevenzione. Guerre di dichiarato odio razziale. Guerre di schiavitù aziendale. Perché le guerre non uccidono solo i corpi, uccidono soprattutto le menti, le speranze, i sogni dei bambini, l'amore. Famiglie. Quante famiglie infrante dalle guerre. Guerre buffonesche che non si reggono su nulla. Nuove crociate indette dai nuovi papi dell'industrialità, dell'imprenditorialità. I gran galli in doppiopetto e limousine.
Nel guazzabuglio ordinato di suoni, braccia nude e inguini di donna sudati, sedie a designare spazi. Tra i presenti, alcuni poeti. Rotolati dai lati del tempo in un istante. Sotto i rami del retro-teatro, tra i fumi di sigaretta. Il cielo di notte è rosso, magenta con sfumature di altri colori polacchi.
Le note di Youkali tra i fiori e i dipinti del corridoio genetico dell'uomo. Esplodono petali di orchidea.
Beviamo. Inebriamo vermi che risaliranno vene. Nutriamo radici che sradicheranno vertebre. Difendiamo formiche che si insedieranno crani. Cantiamo, immersi nel bagno di luci in cui si rispecchia la nuova Italia, la nuova Polonia. La nuova Europa. In un futuro oltre i cumuli dei nuovi cadaveri d'instagram.
"I poeti con la loro poesia dovrebbero tornare a risvegliare l'umanità dal torpore! Così come il teatro! Perché la poesia anche quando non è politica è politica!"
"Non sono d'accordo!"
"Non sono d'accordo anch'io! La poesia è l'unico e l'ultimo medium che possa salvare l'uomo da se stesso. Non la tecnologia, non la diplomazia - non c'è diplomazia senza anima poetica - non il futuro. Il passato ha già previsto questo futuro da tempo, è la poesia il punto in cui il cerchio inizia e muore. Ma non vogliamo ascoltare. Come bambini che desiderano ancora l'ennesima fetta rubata di torta."
Defilato, ma pulsante, dietro la cortina di fumo della sua sigaretta, Michał Chludziński, gambe accavallate, mi osserva con un occhio più blu dell'altro.
Queste alcune poesie tratte dal suo Il ruggito di Dio (Boże rykowisko, Austeria, Cracovia, 2016)
Deficyt
podobno to tylkoi kwestia spojrzenia
szerokich perspektyw założeń budżetu
patrzymy w niebo i wszystko się zgadza
bo z tej perspektywy zgadzać się musi
liczymy po cichu od westchnień do krzyku
przelewając w próżne łez cudzych procenty
lecz z promilem własnym bo nam wciąż pod czaszką
niesłychane na wietrze fermentują baśnie
na palcach po ciemku po wierzchu na boku
ten sam wciaż księgowy kręcimy piruet
w strzelistym rozkroku pomiędzy i ponad
tym co nieistotne a rzeczy istotą
i aby istotną dla rzeczy zdjąć miarę
swą wielkość mierzymy do grobowej deski
więc wciąż nam brakuje tych ofiar co nieco
bo cechą zaświatów jest bezmiar podobno
Deficit
si dice sia solo una questione
di una visione ampia di bilancio
guardiamo il cielo e tutto è giusto
perché da questa prospettiva deve esserlo
contiamo in silenzio dal sospiro all'urlo
versando percentuali nelle vane lacrime altrui
ma con le nostre percentuali, perché ancora sotto il cranio
di favole inascoltate che fermentano nel vento
in punta di piedi nel buio in cima al fianco
ecco lo stesso contabile piroetta
in una falcata slanciata tra e sopra
insignificante e sostanziale
e per prendere la misura dell'essenziale
misuriamo la nostra grandezza fino all'asse della tomba
ma ancora ci mancano delle vittime per qualcosa
perché un tratto dell'aldilà presumibilmente è l'immensità
Do Betlejem
Idą
i tak spiewają:
Z mędrców proroki
z proroków kapłany
z kapłanów króle
z królów rzeźniki
z rzeźników katy
z katów ofiary
a z ofiar mędrcy.
Gloria, gloria, gloria!
A Betlemme
Vanno
E se la cantano:
Dai saggi profeti
dai profeti sacerdoti
dai sacerdoti re
dai re macellai
dai macellai boia
dai carnefici vittime
e dalle vittime sagge.
Gloria, gloria, gloria!
To wszystko
czy więcej coś mamy prócz co kiedyś
pod powiekami lepkiego popiołu
po którym biegli na ollep oślepli
chłopcy skuleni przed dziurami w plecach
czy więcej coś mamy niż wiara na słowo
w te mosty z popiołów i rzeki łagodność
by twardo po wodzie na oklep móc stąpać
od siebie do siebie do tamtego brzegu
czy więcej coś mamy prócz miłości ślepej
do oczu otwartych i zamkniętych powiek
i złości serdecznej w zaciśniętych zębach
pod którą z dumą pękają diamety
czy więcej coś mamy niż tylko to wczoraj
o którym ciągle mówimy że jest
czy więcej coś mamy niż tylko to teraz
o którym kiedyś ktoś powie że było
Questo è tutto
abbiamo qualcosa di più se non quello che c'era una volta
sotto le palpebre di cenere appiccicosa
su cui correvano accecati cavalcioni
ragazzi rannicchiati davanti ai buchi sulle schiene?
abbiamo qualcosa di più della fede nella parola
in questi ponti di cenere e nella dolcezza del fiume
per calpestare con forza l'acqua cavalcioni
da uno all'altro fin l'altra riva?
abbiamo qualcosa di più oltre all'amore cieco
a occhi aperti e a palpebre chiuse
e a rabbia sincera a denti stretti
sotto cui diamanti scoppiano con orgoglio?
abbiamo qualcosa di più di questo ieri
che continuiamo a dire che esiste?
abbiamo qualcosa di più di questo presente
di cui qualcuno un giorno dirà che è stato?
(Trad. Francesco De Luca)
Francesco De Luca (1979), poeta, scrittore, traduttore ed editore romano. Mediatore di Lingua e Cultura Cinese. Si laurea in Comunicazione presso la Sapienza di Roma, nel 2004. Ha pubblicato Anomalie (2015), Karma Hostel (2019) ed è presente nell'antologia Roman Poetry Festival (2019); ha tradotto Un Uomo Felice, poesie scelte di Haizi (2020), Io e l'Italia, di Liu Xi (2022), Poesia Celeste, di Hei Wen (2023), Lo Scenario Invisibile. Mente, Allucinogeni e I Ching, di Terence e Dennis McKenna (2024).
![Michał Chludziński - Foto di Olaf Cirut](https://assets.zyrosite.com/cdn-cgi/image/format=auto,w=340,h=496,fit=crop/AzGj2qr3VVTM5GGk/michal-chludzinski-zdjecie-960x1304-AE0vvQKqg3iRRO46.jpg)
![Michał Chludziński - Foto di Olaf Cirut](https://assets.zyrosite.com/cdn-cgi/image/format=auto,w=328,h=480,fit=crop/AzGj2qr3VVTM5GGk/michal-chludzinski-zdjecie-960x1304-AE0vvQKqg3iRRO46.jpg)