Rafał Wojaczek: il poeta andava fucilato
Astro selvaggio e sublime della poesia polacca e mondiale
POESIA INTERNAZIONALE
Francesco De Luca
12/3/20246 min leggere
Amore, ribellione, misticismo, sublimità, orrifico, tragicità, alienazione, morte.
Rafał Wojaczek sfida ogni categorizzazione. Poeta, ribelle, figura tragica della letteratura polacca, la sua vita e la sua opera costituiscono un paradigma del poeta maledetto, capace di trasformare la sofferenza personale in un grido universale oltre la materia della sua tomba di pietra elettromagnetica a Breslavia.
Nato nel 1945 e morto a 26 anni nel 1971, Wojaczek ha lasciato un’eredità artistica che continua a vibrare di intensità e potenza. Con l’edizione italiana de Il poeta andava fucilato, curata e tradotta dal sottoscritto e da Bożena Topolska, i suoi versi, pubblicati per la prima volta in italiano, si offrono a un pubblico che può coglierne finalmente la portata iconica e l’estrema modernità.
Come osserva Silvano De Fanti nella Storia della letteratura polacca (Einaudi, 2004) a cura di Luigi Marinelli, Wojaczek "già in vita assunse agli occhi delle nuove generazioni il rango di poeta maledetto. Drastico, egotista, anarcoide, teppistico e amorale, corporale e osceno, mitomane, psicotico e alcolista: tutti elementi che si rilettono nella sua breve opera e nella sua vita" (pag. 481). Secondo il polonista Paolo Statuti, Wojaczek è "uno dei fenomeni più controversi nella poesia polacca del XX secolo. E’ sfrecciato come una cometa, lasciando dietro di sé la leggenda, soprattutto tra i giovani".
Spesso è accostato ad Arthur Rimbaud e Jim Morrison, figure che condividono con lui un destino di arte estrema e di vita breve. Questo paragone non è casuale: come Rimbaud, Wojaczek ha fatto della poesia un mezzo di esplorazione radicale, un modo per vivere fino in fondo il conflitto tra l’io e il mondo. Come Morrison, Wojaczek incarna un lato punk-rock ante litteram, con un’energia distruttiva e creativa che attraversa la sua opera. I suoi testi sfidano ogni convenzione, miscelando lirismo ed eccesso, amore e violenza, vita e morte, come dimostra il poema Il poeta andava fucilato: “Il poema è una persona, a volte mi sembra così / Sembra un Negro, anche se non so: se nero o bianco” (p. 51). Qui il poema prende vita, diventa una presenza autonoma e disturbante, capace di sovrastare il suo stesso autore.
Questa dimensione di ribellione e trasgressione emerge anche nel ritratto cinematografico che il regista Lech Majewski ha dedicato a Wojaczek nel film Wojaczek (1999). Girato in un bianco e nero aspro e minimalista, il film ricostruisce la vita del poeta attraverso immagini che evocano tanto il suo tormento interiore quanto la cruda realtà del suo tempo.
L’attore (e poeta) Krzysztof Siwczyk, che interpreta Wojaczek, nella postfazione del libro Il poeta andava fucilato così scrive: "A volte ho l’impressione che Wojaczek sia stato un poeta di versi che brillano di significato, che non possono essere spenti e addomesticati nelle formule di interpretazione, anche quelle più intellettualmente elaborate. Le sue poesie semplicemente trascendono qualsiasi linguaggio di riflessione critica applicabile, e l’auto-immolazione che Wojaczek ha orchestrato per la sua vita non fa che aumentare la posta in gioco etica che si celava nella diagnosi che egli faceva del mondo" (p. 200).
E nel il film, il nostro eroe-antieroe si muove tra realtà e mito, mostrandosi al contempo fragile e carismatico, un outsider che cerca disperatamente di conciliare il suo bisogno di trascendenza con il peso insopportabile della sua esistenza. Non si può non cogliere la duplice natura del poeta, capace di esplorare tanto gli abissi del dolore quanto le vette dell’estasi artistica.
Il genio e la sofferenza di Rafał Wojaczek, che trovano eco profonda in migliaia di giovani, si riflettono nei pellegrinaggi annuali alla sua tomba, dove vengono deposti fiori, striscioni o poesie in suo ricordo. La sua figura continua a influenzare nuove generazioni di poeti, artisti e musicisti. A conferma di questo impatto, per esempio, il gruppo musicale Fonetyka, originario di Varsavia, ha dedicato a Wojaczek un intero album intitolato Requiem dla Wojaczka (Requiem per Wojaczek) in chiave rock, musicando una decina delle sue poesie. Questo è solo un esempio di come il nostro continui a lasciare un segno indelebile sulla scena artistica contemporanea - ormai non più solo polacca! - continuando a ispirare in maniera trasversale musicisti, registi, pittori, ecc.
Francesco De Luca (1979), poeta, scrittore, traduttore ed editore romano. Mediatore di Lingua e Cultura Cinese. Si laurea in Comunicazione presso la Sapienza di Roma, nel 2004. Ha pubblicato Anomalie (2015), Karma Hostel (2019) ed è presente nell'antologia Roman Poetry Festival (2019); ha tradotto Un Uomo Felice, poesie scelte di Haizi (2020), Io e l'Italia, di Liu Xi (2022), Poesia Celeste, di Hei Wen (2023), Lo Scenario Invisibile. Mente, Allucinogeni e I Ching, di Terence e Dennis McKenna (2024), Il poeta andava fucilato. Poesie scelte 1964 - 1971 di Rafał Wojaczek (2024) e La confraternita dell'abisso urlante di Dennis McKenna (2024).
E se, sempre nella Storia della letteratura polacca, la poetica di Wojaczek viene proposta come caratterizzata da una dissacrazione radicale, in cui “l’amore è sesso degradato, il corpo viene umiliato e torturato; sangue e morte sono i simboli della vita” (p. 482), questa prospettiva cruda e iconoclasta non è però fine a sé stessa, ma rappresenta un tentativo di superare le convenzioni e di esplorare nuove forme di autenticità. La poesia diventa così un atto di resistenza contro il conformismo, una ribellione contro una realtà che nega l’individuo e la sua capacità di trascendere le possibilità della vita e dell'essere nella contingenza materiale e politica del tempo.
Considerando, per quanto sia possibile farlo, il carattere performativo della sua opera, Wojaczek non è solo un poeta, ma una presenza, un’energia che si manifesta tanto nei suoi versi quanto nella sua vita. Una presenza viva, che si insinua tra i volti della gente, lungo i vicoli ventosi di Mikołów, così come tra le luci di Trastevere. La sua poesia è un atto di provocazione e di denuncia, ma anche un tentativo disperato di trovare un senso in un mondo che sembra negarlo.
Wojaczek era, è e rimane un poeta che ha avuto il coraggio, l'avventatezza, la passionalità e l'incoscienza di andare oltre la porta senza maniglie della mente atemporale dello spirito, vagando col suo cappotto e il passo lungo, da solo. Per scoprire e fare luce.
In conclusione, Rafał Wojaczek è più di un poeta: è un simbolo di resistenza artistica, un’icona per chiunque cerchi di trasformare il dolore in bellezza, la disperazione in arte. Come scrive la figlia Dagmara Janus, “La cosa più importante è che un giorno ci rivedremo da qualche parte nell’universo” (p. 9). Attraverso i suoi versi, Wojaczek continua a vivere, a sfidare, a emozionare, offrendoci una testimonianza eterna del potere della poesia. Egli rimane una voce insopprimibile, capace di attraversare il tempo e lo spazio per raggiungere il cuore e la mente di chiunque sia disposto a confrontarsi con i propri mostri e con la verità.
Maciej Melecki, poeta e direttore dell’Istituto Wojaczek di Mikołów, sottolinea come i suoi siano "versi sulla poesia e sulla scrittura, poesie fortemente creative, ma anche versi sui doveri del protagonista e sul destino del poeta stesso, e, infine, poesie “al femminile”, si presentano come un insieme di contenuti coinvolgenti, creati senza mezzi termini e non casuali. In ciascuna delle sue opere, possiamo vedere chiaramente fino a che punto fosse cruciale scrivere poesie in una disposizione programmatica, assunta, per così dire, dall’alto. Nel caso di Wojaczek, tale programma non è l’identificazione di una rigida regola di interpretazione supportata, ad esempio, da un manifesto, bensì lo schema elaborato di una voce che gira intorno alle questioni più importanti, a volte in modo ossessivo; questioni che riguardano direttamente l’esperienza terrena del suo vissuto corporeo e spirituale. Questa concentrazione su di un sé fortemente legato al destino dell’individuo, spesso mostrato sullo sfondo di stati di trance lirica, di solitudine, di violenza, di disperazione, di rassegnazione o di eventi sociali, conduce direttamente a una dimensione in cui uno stato di discordia permanente abbraccia i limiti della vita, spingendo l’individuo contro il muro delle sanzioni morali, sociali o biologiche" (pag. 192).
Non sorprende, dunque, che Wojaczek venga ricordato non solo come poeta, ma anche come una figura culturale più ampia, capace di parlare attraverso il tempo a chiunque abbia mai sentito il peso dell’alienazione in qualsiasi società di qualsiasi tempo. Uno degli aspetti più affascinanti della poesia wojaczkiana è la sua capacità di fondere corpo e parola, amore e morte, bellezza e oscenità. In Scrivo una poesia (p. 23), Wojaczek riflette sul rapporto tra il corpo e l’atto creativo, descrivendo un’esistenza sospesa tra vita e morte: “Di tanto in tanto / per controllare / se sono vivo ancora / mi pungo con uno spillo [...] Ma o sono modi inaffidabili / o sono già morto.” Questo verso non è solo una descrizione del tormento interiore, ma anche una metafora dell’atto poetico stesso, un processo doloroso e necessario per dare forma all’indicibile.
In Stagione (p. 19), Wojaczek utilizza immagini frammentate per rappresentare il vuoto e l’instabilità dell’esistenza: “C’è un corrimano / ma non ci sono scale. / C’è io / ma non c’è me.” Una frammentazione riflette il senso di alienazione che permea tutta la sua opera, un’estraneità che non è solo personale ma anche universale. Allo stesso modo, in Il mito della famiglia (p. 27), Wojaczek destruttura il concetto di maternità attraverso un linguaggio dissacrante e provocatorio: “Questa è la salsiccia / Questa è la mia madre commestibile.” Qui la famiglia diventa un simbolo di consumo e alienazione, un luogo dove le dinamiche affettive vengono ridotte a relazioni di potere e necessità.