Saudade e libertà di Pedro da Silveira

La poesia delle metafisiche isole Azzorre

POESIA INTERNAZIONALE

Francesco De Luca

10/27/20246 min leggere

Ponta Delgada, Isola di Sao Miguel, Azzorre.

Mentre cammino, guardando i carghi carichi di container, tra la porta del mare e il rumore del vento, nei vicoli bianchi davanti al mercato da Graca, all'ingresso del Jardim Botanico Antonio Borges, mi echeggiano in mente le parole di Adriano Madonna, scrittore italiano che amò follemente le Azzorre"Io a Ponta Delgada ero di casa... A Ponta Delgada ero di casa".

Delgada in portoghese vuol dire stretta. E qui, al centro dell'oceano tutto sembra così infinitamente stretto, infinitamente sconfinato. 

E queste sue parole, mi conducono a un altro ricordo: quel libretto nero e giallo sullo scaffale della piccola libreria del paese di balenieri Lajes do Pico: un libro di Pedro da Silveria. 

Pedro da Silveira è una figura fondamentale nella poesia azzorriana e portoghese, la cui opera esplora temi universali come l’appartenenza e l’alienazione, che risuonano profondamente in chiunque abbia sperimentato la vita su un’isola. Nato nel 1922 a Flores, una delle isole più remote delle Azzorre, la sua poesia si nutre di paesaggi tanto reali quanto simbolici: mari sconfinati, cieli chiusi e terre austere, che diventano riflessi della condizione umana. Da questi elementi emerge una tensione costante tra il desiderio di partire e il bisogno di restare, creando un dialogo interiore che lo lega sia alla sua terra natale che al mondo intero. La sua raccolta principale, A Ilha e o Mundo (L’Isola e il Mondo), rappresenta perfettamente questa dualità, con il paesaggio azzorriano che si trasforma in uno specchio dell’anima umana, tormentata e aspirante alla libertà.

D'altronde ogni isola si fa metafora di lontananza, unione e divisione, sole e tempesta. L'isola come metafora della Saudade, tema cardine nella poesia di Silveira,

Ma cosa vuol dire Saudade? Potremmo definirla - senza poterla davvero tradurre davvero - come una nostalgia carica di desiderio e speranza. Per Silveira, l’isola è più di una semplice realtà geografica; è un luogo di introspezione e isolamento psicologico.

Il poema “Ilha” rappresenta questa condizione esistenziale, raffigurando un “cielo chiuso” e un “mare infinito” che circondano una barca, simbolo del desiderio di evasione e di nuovi orizzonti. Il gabbiano che sorvola la barca rappresenta la libertà, ma una libertà inaccessibile, un miraggio che, come il sogno della “Califórnia”, rimane irraggiungibile. In questo contesto, Silveira esplora la dialettica tra il desiderio di radicamento e la spinta alla fuga, un sentimento che si riflette anche nelle sue Memórias, dove afferma: “Basta-me este mínimo verde e a casa diante do mar. —Bates, coração?” (“Mi basta questo minimo verde e la casa di fronte al mare. — Batti, cuore?”). Qui, il verde dell’isola e la casa davanti al mare (come il mio amato Haizi) sembrano sufficienti per un’anima in pace con la propria solitudine, anche se il battito del cuore rivela una tensione nascosta.

Quindi Silveira è stato un poeta solamente insulare? Un esule della poesia al di là dei confini del mondo? Non proprio. Silveira ha saputo intrattenere profonde relazioni con altri poeti azzorriani e portoghesi, condividendo una visione poetica radicata nella cultura locale ma aperta a una dimensione universale. Tra i suoi contemporanei, Roberto de Mesquita, anch’egli nativo di Flores, risuona di una sensibilità insulare simile, mentre il grande storico azzorriano Gaspar Frutuoso usò il termine saudades da terra per descrivere l’intenso legame tra gli abitanti delle isole e la loro terra. Silveira seppe fondere questa eredità con una prospettiva globale, rendendo la sua poesia accessibile a lettori di ogni provenienza.

Un paragone significativo è con Sophia de Mello Breyner Andresen, un’altra poetessa che usava il paesaggio come mezzo per esplorare emozioni universali. Mentre Sophia spesso rappresenta il mare come uno spazio di libertà, per Silveira esso è un limite, un confine che isola. La sua voce, apparentemente semplice e diretta, nasconde una tensione profonda tra solitudine, isolamento e desiderio, tra un linguaggio essenziale e l’espressione di emozioni complesse. Questo stile, come descritto dal traduttore George Monteiro (grazie a lui ho potuto all'inizio scoprire le poesie di Silveira), rende la sua poesia aperta a molteplici interpretazioni, consentendo a ciascun lettore di riconoscere una parte di ciò che lo isola e lo allontana da se stesso o dal mondo che lo circonda.

La poesia di Pedro da Silveira si distingue per un linguaggio disarmante nella sua apparente semplicità. Leggendolo durante le notti di vento, le sue parole raggiungevano il silenzio della mia scatola cranica rimbalzando tra le rocce delle scogliere e le assi di legno dei velieri infranti sui fondali. In Poemas Ausentes (Poesie Assenti), l’assenza diventa presenza nei versi, dove la quotidianità si fonde con l’indicibile. Silveira riesce a creare una poesia accessibile senza mai scivolare nella banalità, nonostante la sua nudità intensiva.

Versi come quelli di “Ilha” che ritraggono il gabbiano alto nel cielo e il cuore che batte davanti al mare, esprimono una contraddizione intrinseca: il desiderio di libertà e il legame ineluttabile alla propria terra. Qualunque essa sia.

Questo rende Pedro da Silveira non solo un poeta delle Azzorre, ma una voce che trascende i confini geografici per diventare il portavoce di un’anima insulare universale che unisce ogni solitudine. La sua influenza si estende ben oltre l’arcipelago, ispirando generazioni di poeti a usare il proprio paesaggio come una proiezione della loro interiorità.

La poesia di Pedro da Silveira invita i lettori italiani a scoprire una voce che parla delle Azzorre come di un’isola metafisica, sospesa tra il desiderio di partire e la dolcezza di restare. Nei suoi versi, l’isola diventa metafora di un’esistenza prigioniera ma affascinante, un luogo da cui fuggire ma che, allo stesso tempo, è rifugio sicuro. Silveira ci ricorda che ogni isola, anche quella interiore, può essere sia rifugio che prigione, e che la poesia è il mezzo per navigare in questi opposti estremi, lontano o dentro il caos di questa schiacciante modernità della velocità.

Muore a Lisbona nel 2003, dopo aver volato nella poesia al di là e al di qua di ogni tempesta.

Ecco di seguito un paio di poesie di Pedro da Silveira, tradotte dal portoghese, in un neo tentativo linguistico al di là del mio possibile.

ILHA

Só isto:


O céu fechado, uma ganhoa
pairando. Mar. E um barco na distância:
olhos de fome a adivinhar-lhe, à proa,
Califórnias perdidas de abundância.


A Ilha e o Mundo, 1952

ISOLA

Solo questo:

Il cielo chiuso, un gabbiano che vola.

Mare. E una barca in lontananza:

Occhi affamati a immaginare, alla prua,

Californie perdute di abbonanza.


L'isola e il Mondo, 1952

“A ESSA TERRA...”

A essa terra que não era a tua
deste o vigor dos teus braços,
deste o teu suor
e o teu engenho.

Por essa terra que não era a tua
deste generosamente o teu sangue.
E deste-lhe, povoador de mundos,
os teus filhos.

Agora, fechados os portos à tua entrada,
já o mar não é caminho aberto de emigrantes.
o mar não é a estrada livre das barcas de clandestinos...

O mar...
(você o disse, Jorge Barbosa)
é hoje a nossa prisão sem grades.

Irmão, deixá-lo...
Nas nossas ilhas ergueremos o sonho que te negam.
O nosso mundo.

A Ilha e o Mundo, 1952

"A QUESTA TERRA"

A questa terra che non era tua

hai dato il vigore delle tue braccia,

hai dato il tuo sudore

e il tuo impegno.

Per questa terra che non era tua

hai dato generosamente il tuo sangue.

E le hai dato, popolatore di mondi,

i tuoi figli.

Ora, chiusi i porti al tuo ingresso,

il mare non è più un cammino aperto agli emigranti.

Il mare non è la strada libera delle barche di clandestini.

Il mare...

(lo avevi detto, Jorge Barbosa)

oggi è la nostra prigione senza sbarre.

Fratello, lascialo andare...

Nelle nostre isole costruiremo il sogno che ti negano.

Il nostro mondo.

L'Isola e il Mondo, 1952

PEQUENO POEMA INFINITO

A mão sobre o mapa

não viaja:

interroga.

Mas pousar no teu corpo

é chegar a porto

o navio que deram por perdido.

PICCOLO POEMA INFINITO

La mano sulla mappa

non viaggia:

interroga.

Ma posarsi sul tuo corpo

è portare in porto

la nave che davano per persa.

Francesco De Luca (1979), poeta, scrittore, traduttore ed editore romano. Mediatore di Lingua e Cultura Cinese. Si laurea in Comunicazione presso la Sapienza di Roma, nel 2004. Ha pubblicato Anomalie (2015), Karma Hostel (2019) ed è presente nell'antologia Roman Poetry Festival (2019); ha tradotto Un Uomo Felice, poesie scelte di Haizi (2020), Io e l'Italia, di Liu Xi (2022), Poesia Celeste, di Hei Wen (2023), Lo Scenario Invisibile. Mente, Allucinogeni e I Ching, di Terence e Dennis McKenna (2024).

Ponta Delgada 2024. Foto di Francesco De Luca
Ponta Delgada 2024. Foto di Francesco De Luca