Vedere la musica

Intervista a Marco Testoni

INTERVISTE

iago

2/19/20249 min leggere

Una cattedra in una periferia romana. Una lezione tenuta da chi solo guardandoti, fa capire che non mentirà. L’onestà del parlare promossa dalla qualità artistica. Non un personaggio ma una persona che ne ha viste tante e cerca di far luce laddove non c’è.

Hai maturato un’innegabile esperienza e collaborato con importanti nomi sia della nostra canzone che della nostra cinematografia. Come cambieresti l’attuale paradigma discografico, di certo qualcosa è collassato o sta per farlo, ci aiuteresti a comprenderne le cause?

La questione è molto complessa e non ha a che fare solo con la musica e il cinema perché ne sento parlare anche in molti altri ambiti: un esempio per tutti le recenti dichiarazioni del giornalista Peter Gomez a proposito dell’informazione. Il fatto è che molti sistemi, in primis quello discografico, sono collassati da tempo perché non si è saputo gestire il passaggio epocale dal mercato fisico a quello digitale. Un processo che si chiama “rimediazione” e che questa volta non ha funzionato come è accaduto in passato con altri sconvolgimenti tecnologici come per il passaggio dal muto al sonoro o dal vinile al cd. Prima acquistavi l’opera discografica di un artista, ora per una cifra più o meno pari al valore di un singolo disco compri l’abbonamento mensile a Spotify che ti da l’accesso a tutto lo scibile musicale mondiale e lo stesso accade con Netflix per il cinema e le serie tv. In sé non sarebbe una brutta prospettiva se il rapporto lavorativo tra artista e distributore fosse lo stesso che regolava il mercato tradizionale. Purtroppo non è andata così: gli artisti prendono le briciole, i produttori poco di più e la fetta esageratamente più grande va ai “padroni della ferrovia” ovvero le piattaforme digitali che peraltro non rendono pubblici alcuni dati essenziali come ad esempio qual è il valore economico di uno stream. È un po’ come se un cinema non comunicasse quanti biglietti ha venduto per un dato film e nessuno ti informasse della percentuale degli incassi che ti spetta di diritto come produttore o artista. Se usiamo lo stesso metro per altre attività credo sarebbe difficile trovare un idraulico disposto a lavorare senza un accordo pattuito con il cliente. L’attuale mercato discografico invece ti impone una modalità del tipo “prendere o lasciare: prima fai il lavoro e poi decido io quanto ti potrò pagare". Tutta questa situazione folle ha generato una serie di processi a catena che hanno minato prima di tutto la qualità della musica. Nella situazione odierna infatti, dove i profitti per gli artisti sono così bassi, solo le produzioni musicali più commerciali possono fare cassa. Una volta potevi anche trovare progetti musicali eccelsi prodotti da etichette indipendenti ma ora non hanno più i numeri per sopravvivere neanche loro e così sparisce un’importante valvola di sfogo per le produzioni musicali più ricercate. Il fatto è che la legge dei grandi numeri impone una rincorsa spasmodica al successo commerciale che schiaccia tutto ciò che non è mainstream e che non smuove un certo numero di visualizzazioni, con tutto quello che ne consegue. Nessuno ha più tempo per far crescere un artista, bisogna ottenere tutto e subito altrimenti ciao. Se mi chiedi quindi cosa farei in questo momento storico ti dico che la prima questione è ridiscutere gli accordi con le piattaforme digitali. Esiste già una direttiva europea sul copyright pensata anche per regolare il mercato digitale, basterebbe metterla in pratica e perfezionarla anche di più. In sostanza non è solo un problema culturale ma sociale e politico, sempre ammesso ci sia una distinzione tra questi piani.

È fondamentale che la giusta colonna sonora supporti un lungometraggio per poter connettere vista e udito ed equilibrare il rapporto sinestetico dell’apprendimento. Sempre più spesso, quando vedo un film, non riesco a trovare la giusta sinergia, manca “il concerto dei sensi”. Nel tuo libro -Musica e Visual Media- tratti in maniera molto approfondita questa materia. Qual è la vera funzione della musica per immagini?

Mi piace il tuo concetto di “concerto dei sensi” perché in effetti la sinestesia è appunto questo, ovvero una perfetta integrazione tra espressioni sensoriali diverse. Nel cinema il senso della vista e dell’udito sono i protagonisti assoluti dove ciò che vediamo è in primo piano ma ciò che ascoltiamo è quello che poi sarà in grado di fissare per sempre le nostre emozioni. In questo senso la musica per immagini è un prodigioso moltiplicatore di emozioni. Se una musica è ben integrata al film e alla sua storia proverai qualcosa di indimenticabile altrimenti sentirai una sorta di scollamento e la musica sarà solo un sottofondo ornamentale senza alcuna forza espressiva.

Ti spendi molto anche per i giovani, cercando di informarli sulle insidie legate al variegato mondo della musica, sei dispiaciuto nel vederli così alla deriva, mancando (e questo è fuori dubbio) altri artisti onesti in grado di sostenerli?

Non mi stancherò mai di dire che la conoscenza e la consapevolezza di quello che ci accade intorno è la condizione basilare per poter provare a cambiare il mondo, dalle cose più piccole alle più grandi. Non basta avere delle idee, studiare la tecnica, avere fortuna, fare pubbliche relazioni e aggiornarsi. Prima di tutto occorre che ci sia un senso, un significato e una necessità da esprimere e poi sarà altrettanto importante capire come metterlo in pratica. La musica, l’arte in generale, è uno strano tipo di mondo con regole spesso non scritte. Un mondo infestato da clichè e narcisisti seriali che si tende spesso a mitizzare troppo immaginando una realtà paradisiaca condita di eccessi e successi ma sempre appagante. Un falso modello amplificato e sbandierato dai vari contest e social. Non è così, è una menzogna. La prima cosa importante da capire è se vogliamo lavorare nella musica o nell’intrattenimento. Sono due cose completamente diverse che di conseguenza determinano e prevedono una preparazione e un’attitudine differente. C’è chi riesce a fare tutte e due. Io ad esempio lavoro come music supervisor nell’ambito della fiction nazionale ma poi, come compositore, realizzo dischi di musica sperimentale con Pollock Project e mi occupo di didattica e arte sociale. In definitiva se penso a un giovane che oggi vuole seriamente lavorare nella musica mi sento di sottolineare che la virtù principale sia quella di coltivare la propria formazione culturale sviluppando idee e curiosità ma avere anche, nel senso più nobile del termine, doti da equilibrista.

Ne “La gioiosa anomalia” analizzi la figura di Renato Nicolini, tra aneddoti e pulsioni artistiche. Credi potremmo tornare ad avere un’Estate Romana 4.0?

Il libro su Renato Nicolini è stato appunto uno dei tanti progetti venuti fuori dalla curiosità e dalla necessità di raccontare un personaggio gigantesco che ho avuto la fortuna di conoscere, ma soprattutto di vivere come cittadino e artista testimone della "sua" Estate Romana. Tra la fine degli anni ‘70 e i primi anni ‘80 infatti facevo parte come musicista di una compagnia teatrale molto attiva nei locali e nei teatri off di Roma e mi capitò di conoscerlo, sia lui che il suo entourage, lavorando in alcune delle sue manifestazioni. Un uomo di altissimo livello intellettuale in grado di cambiare l’immaginario culturale della città in modo creativo e rivoluzionario. In quegli anni le arti erano veramente il collante sociale che riuscì a riportare tanta gente nelle piazze e nei luoghi storici della città. Attualmente la scena è completamente cambiata e di quella esperienza è rimasto solo il nome ormai totalmente privo del significato originario. Il business e una politica culturale priva di visione ha fatto il resto. Oggi bisogna prima di tutto ricucire in modo trasparente e vitale il rapporto tra amministratori, artisti e cittadini e poi ricominciare a produrre visioni culturali e buone pratiche. Con il mio libro ho voluto contribuire proprio a rilanciare tutte queste tematiche attraverso la figura di Nicolini che per me resta una figura anomala, un artista prestato alla politica.

Sarebbe molto costruttivo renderci partecipi sulle modalità con cui “vesti” un film o un video, cosa sta alla base di questo particolare processo creativo?

Quando i registi e i produttori mi danno la possibilità di lavorare bene io mi curo soprattutto di dare un senso emotivo alla musica di una scena. Non bisogna mai dimenticare che quando si parla di colonne sonore la musica deve essere al servizio del film e del significato di ogni sua singola scena. Non conta quindi il mio gusto personale ma la mia sensibilità musicale che deve guidarmi verso delle scelte coerenti e in empatia con la storia. Quindi mi è capitato di inserire in un film una canzone di Katy Perry che accompagnava benissimo una scena ma anche di vedere un tema di Mozart malamente sincronizzato in una sequenza di un altro film. Dunque non conta il genere musicale ma quanto un brano o una canzone sia funzionale a un film.

Quanto costa oggi, in una società così volubile, mantenere una propria indipendenza? Hai pagato il tuo prezzo, lo stai pagando o lo pagherai?

L’indipendenza ha un prezzo che ho pagato, pago e continuerò a pagare finché mi sarà possibile farlo. Ho fatto questo mestiere solo per amore, per passione e per necessità interiore e solo in un secondo tempo perché ci dovevo campare. D’altronde se decidi di fare l’artista capisci molto presto che la strada sarà spesso in salita. L’importante è capire come puoi farlo in modo onesto, coerente e proficuo. Ognuno deve trovare il proprio percorso. Personalmente ho capito che l’eclettismo e la curiosità che ho sempre speso su mille fronti, che nel bene e nel male ha sempre caratterizzato la mia vita, non erano un difetto ma una virtù, una dote, un regalo. Per questo penso che più che farsi trascinare dalle aspettative di vita che coltiviamo bisognerebbe ricercare dentro di noi le doti che abbiamo e su quelle costruirci una vita.

Un batterista può non essere un percussionista. Sei d’accordo? Cosa provi quando percuoti per originare un suono?

È una bellissima domanda perché stai parlando di due figure a volte molto distanti tra loro sia come sensibilità che come tecnica musicale. Io suono la batteria da quando ero un ragazzino di dieci anni e l’ho fatto professionalmente fino a quando ne avevo una trentina. Da ragazzo però ho studiato percussioni al Conservatorio di L’Aquila dove il mio maestro, il grandissimo Antonio Striano, il primo giorno di lezione mi chiese quale strumento suonassi e alla mia risposta replicò con una battuta lapidaria “La batteria è ‘na strunzata!”. Obtorto collo iniziai quindi lo studio di strumenti come la marimba, i timpani e le percussioni sinfoniche ma nessuno di questi strumenti mi affascinava veramente. Poi un giorno vidi un concerto di Trilok Gurtu e tutto improvvisamente cambiò perché lo sentivo suonare letteralmente tutto! Aveva un set dove c’erano tablas, rullante, tom, strani tamburi, piatti e metalli di vario tipo che immergeva nell’acqua per ottenere un particolare effetto timbrico. Da allora è iniziata la mia seconda carriera da percussionista che è un diverso modo, direi più libero e poetico, di interpretare il ritmo e il suono rispetto all’approccio di un batterista. Suonare le percussioni vuol dire avere una tavolozza piena di colori perché dietro ogni singolo strumento c’è un timbro, una storia e una tecnica molto differente dove le combinazioni che puoi ottenere sono praticamente infinite; mentre la batteria è uno strumento in un certo senso più consolidato e strutturato. Sono stato fortunato perché ho avuto la possibilità di lavorare discograficamente con molti artisti, jazzisti e cantautori che hanno in qualche modo dato l’avvio a una mia ricerca personale. Dopodiché stranamente è proprio grazie all’handpan, lo strumento che è divenuto la mia specializzazione, che ho conosciuto e lavorato anche con Billy Cobham, uno dei batteristi che adoravo da ragazzo. Alla fine, almeno per me, tutto torna.

BIO

Compositore, percussionista e music supervisor per il cinema, serie tv e pubblicità con una filmografia di oltre sessanta titoli tra i quali: Perfetti sconosciuti, Fai bei sogni, Lo chiamavano Jeeg Robot, Il Primo Re. Ha realizzato numerosi progetti musicali collaborando con artisti di diversi ambiti creativi (arti visuali, fotografia, videoarte). Nel 2014 ha vinto il Premio Colonne Sonore con il brano Io credo io penso io spero, interpretato da Antonella Ruggiero nel film BlackOut. Nel 2015 è stato premiato come Compositore dell’anno al Premio Roma Videoclip. Nel 2017 le sue performance multimediali e musicali sono state presentate al Louvre di Parigi, al Macro e Guido Reni District di Roma e al Santo Stefano al Ponte di Firenze. Nel 2011 fonda l'ensemble Pollock Project con quattro dischi all’attivo e un’intensa attività concertistica nell’ambito della multimedialità. Come handpan player realizza due dischi con il gruppo Hang Camera che vede tra gli altri la partecipazione di Billy Cobham. Come compositore ha scritto canzoni per Antonella Ruggiero, Tosca, Paola Turci, Edoardo De Angelis e con Mario Zanotelli un fitto repertorio di musica per bambini. Come didatta ha diretto nel 2014 il primo corso in Italia di Music Supervisor per la Regione Lazio e ha tenuto numerosi workshop e master sulla musica per immagini presso Università nazionali e europee. Dal 2020 è direttore del canale web Tv Soundtrack City e vicedirettore del magazine Colonne Sonore. Per Audino Editore ha pubblicato i libri: Musica e visual media (2016) e Musica e multimedia (2019). Nel 2022 per la Efesto ha pubblicato il libro Renato Nicolini, la gioiosa anomalia intorno al tema delle politiche culturali in Italia.

Per maggiori informazioni www.marcotestoni.com

Iago (1968), nome d’acqua Roberto Sannino. Poeta, performer e autore di testi di canzoni. Ha pubblicato numerose opere, tra le più rappresentative ricordiamo Delirium Tremens (2010),L’alibi perfetto (2011),Concerto per carta e inchiostro (2012),La famiglia dello scalzo (2014),Anche le scimmie odiano tarzan (2016) e Multiverso (2018). Ospitato in fiere e festival letterari e in rassegne culturali dove ha messo in atto prestazioni di scrittura poetica dal vivo. Ha tenuto incontri con scuole medie e superiori, volti a educare gli alunni alla stimolazione sensoriale nel processo della scrittura. L’ultimo lavoro in versi Dalla pietra allo specchio (2020) ha ottenuto il premio speciale della critica al GIOVANE HOLDEN di Torino.